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NOTA OPERATIVA n. 214 del 15/11/2018

Tributi

Il recupero dei crediti patrimoniali – l’attività stragiudiziale

Negli ultimi anni, anche a seguito delle riforme della contabilità degli enti locali, è aumentata l’attenzione degli uffici sulla riscossione delle entrate, con il fine di accelerarne i tempi e di ridurne la percentuale di morosità.

In tale prospettiva si colloca la presente nota che intende illustrare i presupposti giuridici per impostare le attività di recupero dei crediti di natura patrimoniale e più precisamente la prima fase della procedura di recupero, quella c.d. stragiudiziale, cui seguirà, in una nota successiva, l’illustrazione della seconda fase ovvero quella della riscossione coattiva.

Quando si parla di recupero stragiudiziale (o extra-giudiziale) si intende l’attività di recupero “bonaria” che avviene al di fuori delle classiche vie giudiziarie. In pratica si tratta di un complesso di attività che può sostanziarsi in solleciti scritti, telefonici e visite domiciliari da parte di funzionari autorizzati. Lo scopo di questa attività è quello di invitare il debitore ad un pagamento spontaneo.

Il recupero crediti giudiziale, invece, avviene rivolgendosi all’Autorità Giudiziaria al fine di ottenere la condanna del debitore al pagamento e generalmente per ottenere il titolo esecutivo è necessaria l’assistenza di un legale.

Se nonostante la condanna al pagamento il debitore non dovesse adempiere si potrà procedere con l’esecuzione forzata, diretta dal giudice dell’esecuzione, al fine di pignorare i suoi beni per soddisfarsi su di essi.

Se il creditore è un ente pubblico, il recupero crediti giudiziale delle entrate patrimoniali può avvenire attraverso le procedure di riscossione coattiva. Mentre il privato che vanta un diritto e che vuole, nell’esercizio di tale diritto, esercitare le proprie pretese verso altri soggetti deve munirsi di un titolo esecutivo, deve rivolgersi all’autorità giudiziaria e deve utilizzare obbligatoriamente gli ausili del giudice per attuare la sua pretesa, la P.A., per l’esecuzione coattiva del proprio provvedimento, non ha bisogno di rivolgersi al giudice e può servirsi del proprio personale e dei propri mezzi per attuare la sua pretesa.

1. Fase preliminare

I crediti da recuperare dei quali ci occuperemo in questa nota sono quelli pecuniari extratributari, aventi ad oggetto la corresponsione di una somma di denaro a titolo di :

  • corrispettivi per prestazioni di servizi a domanda individuale (es. rette scuole materne, nidi d’infanzia, refezione scolastica, trasporto scolastico);
  • canoni (es. luce votiva, concessione d’uso di immobili);
  • oneri vari (urbanizzazione, DIA, permessi di costruire);
  • risarcimenti derivanti da inadempimenti di obbligazioni contenute in contratti d’appalto;
  • etc.

Per quanto concerne le entrate patrimoniali, la dottrina suole distinguere due tipologie di entrate:

  • entrate patrimoniali di diritto pubblico: sono entrate non tributarie ma che hanno natura pubblicistica, perché traggono origine in un atto “d’imperio” della pubblica amministrazione ovvero in cui l’amministrazione agisce quale autorità amministrativa. Tra esse sono comprese: COSAP (Canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche), CIMP (Canone per l’installazione di mezzi pubblicitari), CARSA (Canone o diritto per i servizi relativi alla raccolta, l’allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque), canoni demaniali, oneri urbanistici, tariffe connesse al godimento di servizi pubblici a domanda individuale1 (mensa scolastica, trasporto scolastico, nido, luci votive, etc.), canoni ERP (Edilizia residenziale pubblica);
  • entrate patrimoniali di diritto privato: sono entrate non tributarie che hanno causa in rapporti di diritto privato, in cui l’amministrazione agisce iure privatorum, cioè come un normale soggetto privato, non facendo ricorso a poteri pubblici posti a tutela di un pubblico interesse. Si pensi ad es. ai canoni di locazione.

Prima di procedere ad attivare il recupero del credito e, di conseguenza, sostenere gli oneri connessi a tali procedure, è opportuno verificare con attenzione la “ricuperabilità” del credito stesso, ovvero se il credito abbia i requisiti per essere considerato dalla legge esigibile.

A tale proposito è utile chiarire alcuni concetti che diventano rilevanti soprattutto nelle fasi di recupero giudiziale o coattivo del credito. Infatti per attivare le suddette procedure l’Ente locale deve preventivamente verificare che il credito sia certo, liquido ed esigibile:

  • certo perché deve riguardare un’obbligazione a versare una somma in base ad un titolo giuridico che deve esistere e non deve essere oggetto di giudizio pendente;
  • liquido in quanto il creditore deve essere individuato senza difficoltà, il debito deve essere definito in ogni suo aspetto e il suo importo deve essere determinato o determinabile mediante una semplice operazione di calcolo aritmetico;
  • esigibile perché il credito non deve essere dilazionato da termine ovvero subordinato da condizioni. In altri termini l’esigibilità è quella particolare qualità del credito scaduto, che legittima il creditore a pretendere l’adempimento dell’obbligazione corrispondente.

Al fine di accertare che il credito sia dotato dei suddetti requisiti occorre che per ciascun credito vengano effettuate le seguenti verifiche:

  • analisi della documentazione relativa al credito;
  • il termine di prescrizione;
  • l’identità del debitore e degli eventuali garanti;
  • la quantificazione del debito nella parte in conto capitale e nella quota per interessi.

1.1. Analisi della documentazione relativa al credito

Occorre raccogliere per ciascun credito la documentazione che ne attesti la sussistenza, la liquidità e l’esigibilità e più precisamente: contratti scritti, fideiussioni, ricevute di pagamento precedenti, domande di servizi. Anche l’eventuale corrispondenza intercorsa con il creditore potrebbe contenere elementi rilevanti al fine di verificare la sussistenza dei predetti requisiti.

Laddove tale documentazione risultasse carente potrebbe giovare all’ente locale l’acquisizione della c.d. ricognizione di debito, che è l’atto con il quale il debitore riconosce di avere un debito nei confronti di un altro soggetto. È bene evidenziare che tale negozio (che è un negozio giuridico unilaterale) non costituisce una automa fonte di obbligazione, ma opera esclusivamente sul piano processuale giacché, ai sensi dell’art. 1988 c.c., dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale, la cui esistenza si presume fino a prova contraria (in altri termini a seguito del riconoscimento del debito si ha l’inversione dell’onere della prova circa l’esistenza di una causa debendi).

1.2. La prescrizione

L’ordinamento giuridico ricollega determinati e particolari effetti al decorrere del tempo. Infatti il titolare di un diritto soggettivo (quale è un diritto di credito) che non lo esercita (ovvero rimane inerte) per un periodo di tempo predeterminato dalla legge, perde il proprio diritto.

In termini più tecnici, il termine di prescrizione è la data oltre la quale la pretesa creditoria non è fornita di azione. Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge (art. 2934 del codice civile). Il creditore non avrà più tutela sul piano giurisdizionale (non può fare causa per ottenere la condanna del debitore al pagamento), il debitore di un credito prescritto sarà onerato di una mera obbligazione naturale: in sostanza può opporre la prescrizione, ma, seguendo la sua coscienza (in quanto non è giuridicamente vincolato), se vuole può anche pagare.

Senza entrare in un’analisi specifica, piuttosto complessa, della materia ci limiteremo a segnalare alcune nozioni essenziali:

  • la prescrizione ordinaria dei diritti di credito è di dieci anni, salvo che la legge non preveda altri diversi termini più brevi;
  • le prescrizioni brevi sono disciplinate agli artt. 2954 – 2956 c.c. ovvero da altre leggi speciali.

Ai creditori di somme che si pagano mensilmente o comunque con cadenza non superiore all’anno, può ritenersi applicabile il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4) del codice civile, in base al quale si prescrivono in cinque anni gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi.

Infatti la Cassazione ha ritenuto che il prezzo della somministrazione di energia elettrica, che venga pagato a scadenze annuali od inferiori all’anno, in relazione ai consumi verificatisi per ciascun periodo, configura una prestazione periodica, con connotati di autonomia nell’ambito di una “causa debendi” di tipo continuativo, e deve ritenersi pertanto incluso nella previsione dell’art. 2948, n. 4, cod. civ., con l’ulteriore conseguenza dell’assoggettamento a prescrizione breve quinquennale del corrispondente credito, nonché delle pretese ad esso strettamente accessorie, quale la maggiorazione per “sovrapprezzo” di cui ai provvedimenti C.I.P. n. 348 del 20 gennaio 1953 e n. 374 del 27 giugno 1953 (Sez. U., sent. n. 6458 del 18-12-1985, Soc. Ferromin c. Amministrazione delle Finanze).

Al fine di evitare di incorrere nei radicali effetti della prescrizione è sempre opportuno formulare periodiche intimazioni di pagamento inviando lettere raccomandate a/r o diffide da notificarsi a mezzo ufficiale giudiziario.

1.3. Identificazione del debitore e informazioni sullo stato dello stesso

È necessario “identificare” il soggetto quale effettivo e legittimo debitore (c.d. “legittimato passivo”), cui indirizzare in modo valido le richieste di pagamento ovvero intraprendere le azioni giudiziali.

Il debitore persona fisica o impresa individuale, a norma dell’art. 2740 c.c., risponde delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni, presenti e futuri, e l’impresa anche con il patrimonio del “titolare”.

Se il debitore è una società bisogna distinguere:

  • Società di persone (s.s., s.n.c. o s.a.s.): nonostante sussista una separazione di fatto tra il patrimonio sociale e quello dei soci, i soci (ad eccezione dei soci accomandanti nelle s.a.s.) rispondono illimitatamente (e solidalmente) con tutti i propri beni personali presenti e futuri circa i debiti assunti dalla società;
  • società di capitali (s.r.l., s.p.a., s.c.a.r.l.): la società risponde esclusivamente con il patrimonio ed i beni sociali. I patrimoni dei soci non sono aggredibili da parte dei creditori con riferimento ai debiti contratti dalla società.

Vi è peraltro da sottolineare che quando si intrattengono rapporti negoziali con società, è opportuno sempre accertarsi che la persona fisica che sottoscrive il contratto o assume l’obbligazione abbia i poteri di rappresentare la società (c.d. legale rappresentanza) in forza di statuto, di apposita delibera o di delega o mandato e che quindi sia persona dotata dei poteri per assumere validamente obbligazioni in nome e per conto della società.

Le conseguenze della mancata verifica possono essere gravi: un contratto sottoscritto in nome e per conto di una società da persona che non possiede i poteri di rappresentanza idonei, in linea di massima non è opponibile nei confronti della società stessa. Obbligato risulterà quindi il solo firmatario del contratto. Sono salve ipotesi di ratifica dell’operato del firmatario da parte della società, ovvero altre ipotesi affrontate dalla giurisprudenza o previste dalla legge, ma il consiglio generale di verificare preventivamente i poteri di firma rimane valido.

Le informazioni sul debitore riguardano non solo quanto necessario alla sua puntuale individuazione ma anche quanto utile ad instaurare una valida azione di recupero. In particolare il reperimento di informazioni relative alla capacità reddituale del debitore ed alla sua consistenza patrimoniale (sia mobiliare sia immobiliare) sono quanto mai utili a valutare le possibilità concrete di recupero del credito e quindi eventualmente di risparmiare i costi per procedimenti attivati nei confronti di soggetti incapienti. Le suddette ricerche sono inoltre fondamentali per individuare i beni sui quali soddisfare in via forzata il credito, laddove le procedure stragiudiziali non diano l’esito sperato.

1.4. Gli interessi

Le somme dovute all’ente per uno dei titoli sopra descritti (par. 1) sono produttive di interessi di pieno diritto (interessi corrispettivi o legali), i quali, ove non diversamente determinati, vanno ricondotti alla misura del tasso legale di cui all’art. 1284 del codice civile (dal 1 gennaio 2018 è al 0,3% in ragione d’anno). L’art. 1282 c.c. prevede infatti che “i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente”. Si è rilevato in dottrina che, salvo il caso in cui si debba lamentare un danno maggiore, qualora il credito sia liquido ed esigibile, la norma di cui all’art. 1224 (che subordina la decorrenza degli interessi alla previa costituzione in mora) risulta superata dalla previsione di cui al citato art. 1282 che fissa l’automatica decorrenza degli interessi.

Questo comporta che l’ente è tenuto a riscuotere gli interessi maturati dal giorno successivo alla scadenza del pagamento sino a quello di effettivo versamento, a prescindere dal fatto che vi fosse un’espressa previsione scritta sul contratto e/o sul regolamento relativo all’entrata. La rinuncia a tali somme non giustificata da un’espressa previsione nella norma o nel titolo potrebbe comportare la responsabilità amministrativa del funzionario dinnanzi alla Corte dei Conti.

Gli interessi al tasso legale sono dovuti dal debitore indipendentemente dalla prova di danni da questi prodotti.

Rimane fermo il diritto del creditore, nel caso in cui il ritardo nel pagamento gli avesse causato maggiori danni, di ottenere dal debitore il risarcimento anche di questi ultimi, dei quali però dovrà fornire idonea prova.

Il tasso di interesse può essere diversamente pattuito dalle parti (interesse convenzionale). Affinché però un tale accordo sia valido è necessario che sia redatto in forma scritta a norma dell’art. 1284 c.c. Parte della dottrina sostiene che il suddetto patto debba essere espressamente approvato trattandosi di clausola c.d. vessatoria ex artt. 1341 o 1342 se il contratto è concluso su un formulario predisposto dall’amministrazione, necessitando quindi di doppia sottoscrizione. Sul punto la Cassazione Civ., Sez. II, n. 9646 del 27/04/2006 nega che possa essere riconosciuta come vessatoria la clausola del contratto per adesione che preveda la corresponsione di interessi in misura superiore a quella legale, alla luce della ritenuta tassatività dell’elencazione delle clausole che, ai sensi dell’art. 1341, c. 2 c.c., devono essere espressamente approvate per iscritto.

2. Fase stragiudiziale

Attraverso l’attività stragiudiziale ci si propone di riscuotere una certa quantità di crediti insoluti ed esigibili attraverso soluzioni “bonarie”, ovvero senza ricorrere all’autorità giudiziaria o avvalersi della riscossione coattiva pubblicistica, che comporta oneri maggiori per il debitore (o per l’ente in caso di esito infruttuoso).

In questa fase il debitore può quindi risolvere la propria posizione debitoria in modo celere e senza un significativo aggravio di spese. Le attività previste in questa fase possono avere natura formale (intimazione di pagamento) o natura informale (sollecito telefonico, visite al domicilio) e possono essere gestite direttamente o essere delegate ad agenzie di recupero crediti, abilitate a norma del T.U.L.P.S., previo esperimento delle procedure di affidamento del servizio.

2.1. La messa in mora

Nel caso in cui il debitore non abbia versato le somme dovute, anche dopo solleciti telefonici o scritti, è opportuno che lo stesso sia messo formalmente in mora.

L’art. 1219 c.c. recita: “Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto”. Costituire in mora significa pertanto trasmettere al debitore un atto (denominato intimazione e spedito con raccomandata a/r) con cui si intima/richiede in via formale allo stesso l’adempimento dell’obbligazione da questi assunta.

È atto recettizio, quindi implica la necessità della ricezione da parte del debitore, ovvero della persona che abbia la legale rappresentanza del soggetto debitore. Su tale aspetto la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che l’atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore non è soggetto a particolari modalità di trasmissione, né alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziali, sicché, nel caso in cui detta intimazione sia inoltrata con raccomandata a mezzo del servizio postale, la prova della sua ricezione da parte del destinatario va valutata secondo gli ordinari criteri di valutazione delle prove.

Per ciò che concerne i pagamenti delle tariffe, rette, canoni, a norma dell’art. 1219, 2° comma del codice civile, non è necessaria la costituzione in mora del debitore, in quanto trattasi di obbligazioni per le quali è scaduto il termine per l’adempimento, essendo le prestazioni da eseguirsi al domicilio del creditore2 (generalmente tesoreria, economato o tramite il servizio dei conti correnti postali).

Ciò detto, può comunque risultare opportuno notificare al debitore l’intimazione di pagamento la quale risponde alla duplice esigenza di ottemperare ai principi di buon andamento dell’azione amministrativa, favorendo il pagamento spontaneo, e di evitare contestazioni in merito alla necessità della messa in mora, laddove il debitore sostenesse, ad esempio, che il credito non è liquido (rendendo pertanto obbligatoria la messa in mora ex art. 1219 del c.c.).

Con l’intimazione vengono inoltre interrotti i termini di prescrizione ai sensi dell’art. 2943 del codice civile.

Un altro effetto dell’intimazione è che fa sorgere in capo al debitore l’obbligo di risarcire il danno. Il debitore è responsabile di tutti i danni causati al creditore dal mancato pagamento. Ciò rileva soprattutto quando gli importi da versare risultino particolarmente significativi e abbiano comportato un danno effettivo (da provarsi a cura del creditore).

2.2. La dilazione

Un delle richieste più comuni che il debitore può avanzare al creditore è di rinviare la scadenza di pagamento o di accordare un piano di rateizzazione della somma dovuta.

La dilazione di pagamento può essere concessa dal creditore al debitore e consente il pagamento ad una nuova scadenza o in alternativa il pagamento a rate. L’art. 1244 c.c. dispone che la dilazione concessa gratuitamente dal creditore non ostacola la compensazione.

La dilazione non va confusa con la tolleranza del ritardo da parte del creditore, che non influisce sull’esigibilità del credito.

Ai sensi dell’art. 1231 la modificazione del termine per l’adempimento dell’obbligazione non produce novazione del titolo giuridico alla base della stessa obbligazione, in quanto si tratta di una modifica di un elemento accessorio.

2.3. Accordi transattivi

I tentativi di risoluzione bonaria del recupero possono portare a definire un accordo transattivo ovvero un contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già iniziata o prevengono una lite che potrebbe insorgere (art. 1965 c.c.). La facoltà di definire bonariamente le liti con i privati è stata riconosciuta in capo alle pubbliche amministrazioni dalla Corte dei Conti con deliberazione n. 1/2003/P. A tal proposito è comunque opportuno chiarire che elemento caratterizzante la transazione è l’esistenza di una controversia giuridica, mentre non è sufficiente la presenza di un semplice conflitto economico (Corte dei conti Lombardia, deliberazione 26/2008).

La giurisprudenza ha chiarito che: “La transazione non è riconducibile a un negozio di mero accertamento3, presentando, invece, un carattere indubbiamente costitutivo o dispositivo, dato dall’attitudine a modificare la situazione giuridica cui si riferisce. Essa è composizione contrattuale di una controversia e il suo contenuto si traduce in un regolamento di interessi idoneo a modificare e a sostituire altro ai precedenti, con lo scopo di eliminare, mediante una reciprocità di concessioni, una lite che sia insorta tra le parti oppure di prevenirla ove vi sia pericolo di insorgenza” (Corte di Appello di Napoli, sez. III, 11 dic. 2003).

La transazione può vertere:

  1. sulla tempistica di pagamento del debito (viene chiesta una dilazione o un pagamento a rate);
  2. sull’importo (ad es. perché il debitore, contestando la legittimità della pretesa del creditore, si offre di pagare solo una quota “a saldo e stralcio” del proprio debito);
  3. su entrambe le ipotesi precedenti.

Gli accordi devono essere approvati dall’organo competente dell’ente e formalizzati in una scrittura privata (a tal proposito giova ricordare che la transazione, a norma dell’art. 1967 c.c., e fatto salvo il caso di cui al n. 12 dell’art. 1350 c.c., è a forma libera ma deve essere provata per iscritto).

A fini cautelativi è opportuno inserire nell’accordo clausole dal seguente tenore:

  1. in ipotesi di rateizzazioni: la previsione della “decadenza dal beneficio del termine” per il mancato pagamento di n. 2 rate;
  2. se il pagamento viene dilazionato in un periodo molto lungo, inserire la previsione degli interessi al tasso legale;
  3. in ipotesi di riduzione dell’importo dovuto, prevedere che l’accordo raggiunto ha scopo “transattivo” ai sensi dell’art. 1965 c.c. e “non costituisce novazione4” di cui all’art. 1230 c.c. Ciò consente al creditore, in caso di ulteriore inadempimento del debitore, di agire per l’intero credito originario, maggiorato degli interessi maturati e delle spese sostenute.

Laddove non risulti possibile recuperare il credito attraverso soluzioni stragiudiziali, in via bonaria o tramite accordo transattivo, si dovrà avviare la procedura di riscossione coattiva o, in alternativa, si dovrà avviare la pratica di rinuncia al credito.

Sul portale ProgettoOmnia.it, all'interno dell’Area Tributi, è disponibile la pratica "Recupero stragiudiziale dei crediti patrimoniali".